Il web ha stravolto ogni settore della nostra vita ma per il turismo l’impatto è stato dirompente: perfino i turisti hanno cambiato linguaggi e paradigmi in virtù dei nuovi strumenti e delle possibilità offerte da internet. Acquistare una vacanza on line è ormai pratica molto diffusa e semplice: si sceglie la destinazione, si acquista la sistemazione dopo aver letto le recensioni e consultato i portali di vendita, si parte e poi si pubblicano le proprie recensioni sull’esperienza appena vissuta.
Tra gli strumenti che hanno accelerato questo cambiamento, ci sono senza dubbio le agenzie online, alcune nate con lo scopo di offrire maggiore visibilità agli albergatori (booking.com), altre invece per vendere pacchetti di viaggio a prezzi più bassi accorciando la filiera distributiva (expedia), altri ancora per offrire soluzioni di soggiorno diverse, accessibili e più autentiche (AirBnb).
Queste web company, hanno proliferato, almeno in Italia, nel vuoto venutosi a creare tra il settore pubblico e quello privato: se al primo è imputabile una totale mancanza di infrastrutturazione e di frammentarietà dell’offerta turistica (grazie alla competenza esclusiva alle Regioni in materia di turismo) che rende quasi impossibile al turista, specialmente quello straniero, districarsi tra il ginepraio di proposte, al settore privato invece è mancata la capacità di adeguarsi al cambiamento e di dotarsi di strumenti idonei ad intercettare i nuovi comportamenti.
Il servizio che queste major rendono al turista è molto efficace poiché lo aiutano nella ricerca di sistemazioni adatte facendogli in tal modo risparmiare tempo e denaro. La questione diventa invece delicata quando si guarda questo aspetto dalla parte degli operatori e in generale del sistema Paese.
La prima questione riguarda la tassazione e il regime fiscale a cui queste aziende sono soggette. Offrono maggiore visibilità agli albergatori o alle piccole strutture dell’extra alberghiero, ma avendo tutte le sedi all’estero, prelevano dal nostro territorio ricchezza sotto forma di commissioni pagate dagli albergatori senza che sia prevista alcuna forma di ritorno.
La seconda questione ha a che fare con la specificità del sistema turistico italiano, costituito per gran parte (70% circa) di piccole e medie strutture dislocate sul tutto il territorio italiano. Per molte di queste PMI la presenza sui canali di vendita offerta dalle OTA è “obbligatoria” perchè sopperisce in parte alle inadeguate politiche promozionali delle autorità pubbliche competenti, ma molte dovranno poi fare i conti con clausole contrattuali spesso sproporzionate alle dimensioni della loro offerta.
Per Airbnb invece la questione è piuttosto legata alla regolarità di alcune sistemazioni proposte: questo è possibile perché la piattaforma non vincola la “regolarità” della struttura alla pubblicazione e, chiunque, può diventare un host.
Per questo motivo, dopo il procedimento del sindaco di New York e la parziale messa al bando ad Amsterdam, il colosso della sharing economy turistica Airbnb è stato oggetto di un altro duro attacco.
A mettere sotto la lente di ingrandimento il portale di affitti turistici questa volta è il governo della Catalogna che ha gli inflitto una multa di 30mila euro. Sulla base di una legge catalana del 2012, che impone la registrazione di tutti gli appartamenti affittati per turismo presso un ente apposito, l’affitto delle singole stanze all’interno degli stessi appartamenti, è illegale.
Per Airbnb è sicuramente un duro colpo, poichè Barcellona è una delle tre città core del business dell’azienda americana, insieme a New York e Parigi.
Ciò accade dopo le recenti prese di posizione delle autorità garanti della libera concorrenza che, in tutta Europa, stanno passando al vaglio le pratiche della parity rate imposte dalle OTA al sistema della ricettività alberghiera e non: un giro di vite fortemente sollecitato da chi opera nel settore dell’ospitalità da anni, accolto dalle associazioni di categoria in vari paesi, che rivendicano una regolarità nelle procedure e una maggiore libertà nel pricing.
Ma quale sarebbe lo scenario se si arrivasse alla totale messa al bando di queste web company?
Via booking.com, Expedia, Venere e Airbnb, le pagine di Google “ripulite” e i primi risultati di ricerca, di nuovo disponibili. In un ipotetico quadro di concorrenza perfetta che vedrebbe le strutture ricettive misurarsi con le proprie simili (per dimensione e per servizi offerti), chi risulterebbe il primo tra i risultati di ricerca? E chi entrerebbe nella prima pagina di Big G che si prende l’ 80% dei click?
Non è assurdo immaginare che potrebbero essere gli stessi che oggi compaiono subito sotto le OTA e sono primi anche nei risultati di ricerca delle OTA stesse, in definitiva, quegli operatori che hanno saputo raccogliere, per tempo, la sfida del cambiamento.
E quale ripercussione potrebbe avere sui risultati economici delle strutture ricettive, questo quadro puramente teorico che stiamo immaginando? Un aumento degli incassi del 40% pari alle commissioni non dovute alle OTA o un ridimensionamento per la difficoltà dei potenziali clienti a trovare rapidamente le stesse strutture tra i miliardi di risultati della ricerca?
È ragionevole pensare che, più o meno come prima, sarebbero maggiormente favoriti quelli che hanno costruito la loro reputazione insieme alle OTA e contano su un portfolio di clienti oltre alle major; minori i benefici per quelli che non hanno potuto o saputo sintonizzarsi con l’innovazione proposta dal web.
E le tariffe poi? Quali politiche dei prezzi adotterebbero gli operatori che oggi, facendo i mistery guest delle strutture concorrenti prenotano una camera sulle OTA, per decidere come modificare i loro prezzi ?
E come impatterebbe sulla user experience dei clienti? Forse si troverebbero a fare i conti con un maggior dispendio di tempo per orientarsi tra la marea di offerte.
Una teoria dell’antropologo statunitense Marvin Harris sostiene che dietro ogni comportamento umano c’è sempre un calcolo economico di sopravvivenza.
Nel caso specifico è certamente una cosa giusta pretendere il rispetto delle norme del Paese dalle autorizzazioni al pagamento delle imposte ecc., ma allo stesso tempo non va dimenticato che Expedia è la maggiore agenzia di viaggi al mondo e booking.com, che vende solo camere, è al terzo posto con 39,3 miliardi di dollari di fatturato all’anno.
La partita in Italia dunque si dovrebbe giocare su un altro terreno: fornire agli operatori gli strumenti e l’opportunità di una formazione che li aiuti a colmare il gap del digital divide in modo che siano capaci di stare sul mercato e, il primo step non può che partire dal mettersi nelle condizioni di avere anche il proprio canale di vendita direttamente sul proprio sito.
Questo oggi è ancor più un urgente dato che le OTA stanno conquistando nuovi mercati e si interessano anche ai servizi extra ricettivi: ad esempio Priceline ha recentemente acquistato Open Table software che consente il booking di tavoli al ristorante.
Si dovrebbe cioè fare tesoro dell’esperienza sulla ricettività per evitare di trovarsi di nuovo nella condizione di “chi guarda a sinistra mentre loro guardano a destra”. (La mossa del Kansas city)
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